Dal 2026 il prelievo sulle cripto-attività sale al 33%. Occorre, quindi, valutare in via prospettica quali siano le conseguenze della modifica in relazione ai rapporti cross border.

La territorialità di questi redditi, regolati dall’art. 67 comma 1 lett. c-sexies) del TUIR, era stata analizzata dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 30/2023 (§ 5) partendo dalla formulazione dell’art. 23 comma 1 lett. f) del TUIR, il quale prevede la tassazione italiana dei non residenti per i redditi diversi derivanti da attività svolte in Italia e da beni che si trovano in Italia.
La circolare ha così precisato che le cripto-attività si considerano di fonte italiana se le chiavi che danno accesso alle stesse sono detenute presso intermediari residenti in Italia, o se tali cripto-attività sono oggetto di uno stabile rapporto con un intermediario residente.

Ove le cripto-attività (rectius, le chiavi di accesso) siano detenute direttamente dal contribuente tramite supporti come chiavi USB, il reddito si considera prodotto in Italia se tale supporto è localizzato in Italia; l’Agenzia delle Entrate ritiene che, a tali fini, sussista una presunzione di localizzazione del supporto in Italia se il soggetto è residente in Italia, ferma però restando la possibilità di fornire la prova contraria.

Per i non residenti, le plusvalenze di cui all’art. 67 comma 1 lett. c-sexies) del TUIR, se le cripto-attività sono di fonte italiana secondo i criteri di cui sopra, sono assoggettate all’imposta sostitutiva di cui all’art. 5 del DLgs. 461/97. L’art. 5 comma 5 del DLgs. 461/97 (che esenta da imposizione i non residenti per i redditi di cui all’art. 67 comma 1 lett. da c-bis) a c-quinquies) del TUIR – a condizione che i beneficiari risiedano in uno Stato appartenente alla white list – e non quindi quelli, oggetto di esame, di cui alla lettera c-sexies) è infatti rimasto indenne da tutte le modifiche che hanno caratterizzato il settore.

I non residenti rimangono conseguentemente attratti all’imposizione italiana per i proventi delle cripto-attività, pur se residenti in Stati appartenenti alla white list: tali soggetti rientrano tra quelli interessati dall’innalzamento dell’imposizione sostitutiva al 33% dal 2026 (ma anche dalla rimozione della franchigia reddituale di 2.000 euro), alla condizione che – come sopra specificato – i proventi siano di fonte italiana.

Tutto ciò vale a condizione che le Convenzioni contro le doppie imposizioni non stabiliscano diversamente. Mancano, nella circ. n. 30/2023 (§ 5), indicazioni certe in merito al regime convenzionale delle cripto-attività: l’Agenzia delle Entrate, infatti, si limita a precisare che i criteri di territorialità interni devono essere coordinati “con la specifica normativa convenzionale”, la quale non viene però chiaramente evidenziata.

La soluzione maggiormente logica sarebbe quella per cui le plusvalenze riferite alle cripto-attività rientrano, nella prospettiva italiana, tra i redditi disciplinati dall’art. 13 par. 5 del modello OCSE, per cui le plusvalenze su beni diversi da immobili ecc. sono tassate nel solo Stato di residenza del cedente; se così è, il non residente avrebbe titolo a non subire l’imposizione italiana o a richiedere il rimborso, ove l’imposta sia stata prelevata. Ove questa impostazione sia confermata, l’incremento del prelievo al 33% non sortirebbe effetto alcuno in capo ai non residenti.

Più precisamente, se le cripto-attività sono di fonte italiana (di regola, se il rapporto è con un intermediario italiano), per i non residenti si hanno due casistiche:
– se il percipiente è residente in uno Stato con Convenzione con l’Italia conforme al modello OCSE, le plusvalenze non sono imponibili in Italia in forza della Convenzione;
– se, invece, il percipiente è residente in uno Stato non convenzionato (o con Convenzione con l’Italia non conforme al modello OCSE), le plusvalenze sono imponibili in Italia a norma dell’art. 67 comma 1 lett. c-sexies) del TUIR.

Se le cripto-attività sono di fonte estera (di regola, se il rapporto è con un intermediario estero), si tratta di redditi in ogni caso non imponibili in Italia in capo al non residente, in quanto manca qualsiasi criterio di collegamento a norma dell’art. 23 del TUIR.

Per i residenti titolari di portafogli di cripto-attività, il prelievo è incrementato dal 2026 al 33% indipendentemente dal fatto che le cripto-attività siano di fonte italiana o estera.

Vi sono però significative eccezioni per le persone fisiche in precedenza residenti all’estero e che, a seguito del trasferimento in Italia, esercitano le opzioni di cui agli artt. 24-bis (nuovi residenti) o 24-ter (“pensionati di ritorno”) del TUIR.
Per questi soggetti, i redditi delle cripto-attività, se (e solo se) di fonte estera, risultano rispettivamente tassati nella misura forfetaria di 100.000 euro o 200.000 euro, ovvero con imposta sostitutiva del 7%; tali regimi presentano quindi indubbi vantaggi a fronte dell’incremento al 33% dell’imposizione, nel primo caso se il “portafoglio crypto” del neo residente è particolarmente redditizio (l’imposizione effettiva, infatti, decresce al crescere dei redditi) e nel secondo caso in quanto si permette di beneficiare di un’aliquota in prospettiva di quasi 5 volte inferiore a quella standard.

FONTE: Eutekne Info

Gianluca ODETTO

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