L’art. 1 commi 31-36 della L. 207/2024 ha reintrodotto la disciplina dell’assegnazione, cessione e trasformazione in società semplice agevolate, già vigenti nel 2016 e 2017 (art. 1 commi 115-120 della L. 208/2015) e nel 2023 (art. 1 commi 100-105 della L. 197/2002).
Le tre operazioni agevolate consentono tutte di far uscire i beni immobili e i beni mobili registrati dal regime fiscale dei beni d’impresa a condizioni particolarmente favorevoli (in particolare, applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP dell’8% sulla plusvalenza e facoltà di sostituire il valore catastale al valore normale degli immobili ai fini del calcolo della plusvalenza stessa). Esse, però, presentano caratteristiche ben diverse tra loro, cosicché ciascuna può essere lo strumento più idoneo in determinate circostanze e non in altre.
La cessione agevolata condivide con l’assegnazione quasi del tutto l’impianto normativo, discostandosene per specifici aspetti, e può rappresentare un’opportunità interessante in certe situazioni-tipo.
A differenza dell’assegnazione, nella cessione agevolata il termine per la determinazione della plusvalenza, da opporre al costo fiscale del bene, non è il suo valore normale, bensì il corrispettivo di vendita. Questo, tuttavia, se inferiore tanto al valore normale quanto al valore catastale, è “computato in misura non inferiore a uno dei due valori” (art. 1 comma 33 della L. 207/2024).
L’applicazione di questa previsione, che ha la finalità di evitare che le parti, quando si trovino in assenza di conflitto di interessi, fissino un corrispettivo troppo basso, non influisce però sul costo fiscalmente riconosciuto del bene in capo al socio acquirente, che è in ogni caso da assumere in misura pari al corrispettivo di vendita (circ. Agenzia delle Entrate 16 settembre 2016 n. 37, § 5).
Una diversa clausola di salvaguardia opera, nelle cessioni, quando si realizza una minusvalenza: la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi, infatti, è consentita solo nei limiti della differenza tra il costo fiscalmente riconosciuto del bene e il suo valore normale (ris. Agenzia delle Entrate 27 luglio 2017 n. 101). Dovrà essere oggetto di variazione in aumento in dichiarazione, quindi, l’eventuale frazione di minusvalenza che eccede tale differenza.
Anche sul versante delle imposte indirette la disciplina della cessione agevolata non si discosta molto da quella dell’assegnazione.
Una rilevante differenza si registra nell’applicazione dell’IVA, dal momento che le assegnazioni sono fuori dal campo di applicazione dell’imposta quando l’acquisto del bene assegnato è stato effettuato senza il diritto alla detrazione (per ragioni soggettive oppure oggettive), o è stato effettuato da privati, o ancora se è stato effettuato prima dell’entrata in vigore del DPR 633/72. In tutti questi casi, invece, la cessione rientra nel campo di applicazione dell’IVA, sebbene in regime di esenzione (ex art. 10 comma 1 n. 27-quinquies) in caso di indetraibilità dell’imposta, oppure n. 8-bis) o n. 8-ter), a seconda della natura dell’immobile).
L’assoggettamento a IVA, ancorché in regime di esenzione, potrebbe portare dei benefici sul versante dell’imposta di registro, perché escluderebbe l’applicazione di questa seconda imposta con aliquota proporzionale in forza del principio di alternatività IVA/registro (art. 40 del DPR 131/86).
Al principio, però, in base allo stesso art. 40 del DPR 131/86, fanno eccezione le operazioni che hanno ad oggetto fabbricati abitativi (art. 1 comma 8-bis del DPR 633/72), per i quali l’imposta di registro è ugualmente dovuta in misura proporzionale, se l’IVA non è stata addebitata per il verificarsi di un’ipotesi di esenzione.
Il ricorso alla cessione, al di là di mere considerazioni di carattere fiscale, può essere opportuno nei casi in cui non tutti i soci siano interessati ad acquistare la proprietà dell’immobile o degli immobili della società (o di altri beni agevolabili), né sia possibile soddisfare i soci non interessati con distribuzioni in denaro.
Non si può ricorrere all’assegnazione, ma solo alla cessione, inoltre, quando non vi sono riserve sufficienti a pareggiare il valore del bene, il che spesso accade perché la società ha fatto ricorso a finanziamenti e non ad apporti da parte dei soci.
In casi del genere si può procedere alla cessione del bene al socio, con accollo del debito per i finanziamenti oppure, se questi si riferiscono esclusivamente al socio o ai soci cessionari, con successiva compensazione del pagamento del prezzo del bene.
In alternativa, si può anche procedere con la rinuncia ai finanziamenti e la conseguente imputazione a versamenti in conto capitale, alla quale far seguire l’assegnazione dei beni ai soci.
FONTE: Eutekne Info
Francesco DE ROSA